Non sei tu che scegli: è l’algoritmo. E intanto ti vende i guru

 


Apri i social “solo un attimo”. Un attimo che diventa mezz’ora. Non perché tu avessi davvero qualcosa da cercare, ma perché il feed si comporta come una calamita: scorre, ti prende, ti trattiene. E la cosa più strana è questa: spesso non stai nemmeno guardando cose che ti interessano.

È come entrare in un supermercato per comprare il pane e uscire con un carrello pieno di oggetti che non ricordi di aver scelto. Solo che qui non c’è carrello, c’è tempo. E il tempo, a fine giornata, è sparito.

Succede perché, in molti casi, i contenuti che vedi non sono “quelli che segui” né “quelli che vuoi”. Sono quelli che l’algoritmo decide che ti terranno incollato. A volte ci azzecca. Spesso no. Ma non importa: il suo obiettivo non è farti felice. È farti restare.

E così ti ritrovi a vedere cose che non ti interessano davvero. Clip tutte uguali. Discussioni infinite su micro-temi urlati. Video montati per provocare una reazione. Post costruiti per farti indignare o farti dire “ancora uno e poi smetto”. E quando ormai sei lì, quando hai già investito minuti e attenzione, ecco la parte più prevedibile: la pubblicità.

Il feed a quel punto cambia pelle senza avvisarti. Ti mostra post sponsorizzati di “guru” della vendita, della crescita personale, dell’investimento miracoloso, dell’ennesimo metodo in tre passi. Magari non ti interessa nulla di tutto questo. Magari stavi solo guardando un paesaggio, una ricetta, un posto in montagna. Ma eccoli lì: sono arrivati perché tu sei arrivato al punto in cui sei più vulnerabile. Stanco, distratto, già “dentro”.

Il punto non è demonizzare i social. Il punto è smettere di fingere che siano neutrali. Non sono una piazza. Sono un sistema di selezione. E la selezione non avviene per qualità o valore. Avviene per capacità di catturare attenzione.

E quando l’attenzione diventa moneta, tutto viene ottimizzato per estrarla. Non per nutrirti. Non per informarti. Non per ispirarti. Per farti rimanere abbastanza a lungo da vedere l’ennesimo annuncio. O peggio: abbastanza a lungo da convincerti che ti manca qualcosa e che qualcuno là fuori ha la soluzione pronta, ovviamente a pagamento.

La conseguenza è semplice e devastante: passi tempo a consumare spazzatura senza accorgertene. Non perché tu sia “debole”. Ma perché il sistema è progettato per essere più forte della tua stanchezza. È progettato per prendere decisioni al posto tuo quando tu non hai energia per decidere.

A un certo punto ti chiedi: “Ma io cosa volevo vedere davvero?” E la risposta spesso è: non lo sai più. Perché ti sei abituato a ricevere, non a scegliere. Ti sei abituato a scorrere, non a cercare. Ti sei abituato a reagire, non a creare.

Eppure basterebbe una domanda, una sola, per rompere l’incantesimo: “Questa cosa mi sta servendo o mi sta consumando?”

Se la risposta è “mi sta consumando”, allora è lì che nasce la vera libertà: non nel cancellare tutto, ma nel riprendere il controllo del tuo tempo. Anche con gesti piccoli. Anche solo scegliendo di uscire prima. Anche solo decidendo che non vuoi più essere guidato da ciò che “funziona” per l’algoritmo.

Perché il rischio più grande non è vedere contenuti inutili. È normalizzare l’inutilità. È accettare che la tua giornata venga spezzettata in frammenti, fino a non avere più spazio per ciò che conta davvero: leggere, pensare, camminare, costruire, imparare, vivere.

Se ti riconosci in questa sensazione, se ti capita di chiudere l’app con la testa piena e il cuore vuoto, allora forse non è pigrizia. È un sistema che ti sta addestrando.

E la buona notizia è che puoi disaddestrarti.

Qui  ti lascio i miei libri che parlano proprio di questo: come difendere attenzione, libertà mentale e pensiero critico in un’epoca in cui tutto è progettato per distrarti.